20 febbraio 2008
Il turno di mercoledì è stato per me particolarmente intenso. La scorsa volta sono tornata entusiasta, con una scarica di energia da pensare di poter rivoluzionare il mio modo di vivere, in modo da affrontare le sofferenze in profondità e con umorismo. Questa volta mi sono resa conto che se tenti di rivoluzionare la tua vita, oltre a nuove gioie devi anche mettere anche in conto sofferenze nuove… (cmq ci resta la chiave giusta per affrontarle!) Ma bando alle ciance, passiamo ai fatti: mercoledì arrivo un po’ in ritardo all’incontro dove mi aspettano Formaggino, Lucilla e Tamara (una ragazza americana, studentessa di medicina, che sarà ospite del nostro progetto per qualche tempo). Con Tamara ci presentiamo e le presto il mio naso rosso. Con il prezioso aiuto linguistico della Fede-Lucilla scambiamo qualche chiacchiera, mentre Formaggino prepara il suo “culo sonoro” (attrezzatura ormai nota, consistente in: amplificatore portatile legato in vita e collegato tramite cavo e jack ad un lettore MP3 il tutto occultato sotto il camice, sul lato posteriore… – n.d.F.). Ah che spettacolo il “culo sonoro”, Formaggino! Un’invenzione divertentissima! Vai, siamo pronti. ci avviamo alla volta dell’ospedale accompagnati da musiche popolari, una colonna sonora perfetta. La gente ci guarda e sorride, ci dà il buongiorno e così iniziamo già felici… Entriamo, nel corridoio non c’è ancora tantissima gente. Incontriamo subito una bella bimba che si nasconde dietro le gambe della mamma e si affaccia solo per prendere il palloncino che le regala Formaggino, poi… zup!… ritorna a nascondersi. Proseguiamo fino in pediatria. La mattinata è per fortuna tranquilla, ci informano le infermiere, non ci sono tanti bambini.. ci fermiamo in una stanza dove c’è una bambina di 17 mesi e un bambino più grande che, appena entriamo, si nasconde sotto il lenzuolo. Le rispettive mamme sorridono. Io mi avvicino alla bambina e tento di rapire la sua attenzione con i miei pupazzi da mano. Con Formaggino cerchiamo di rifare lo sketch della volta scorsa con le bolle di sapone (il pupazzo Temistocle doveva mangiarle). Le bolle di sapone sono davvero una distrazione forte per i piccoli, infatti lei viene subito incantata e tenta di scoppiarle. Io rimetto a posto i pupazzi, che a ‘sta girata non hanno riscosso grande successo, e voltandomi vedo il bambino di fronte in piedi sul letto a scalmanarsi con Lucilla e Tamara! Be’, ha proprio vinto la timidezza! Continuiamo così tra le bolle di sapone in cui anche Tamara si cimenta e la guerra delle spade tra noi tre fanciulle e il bambino. Formaggino passa in un’altra stanza e noi rimaniamo lì, la piccola è stanca e si mette a sonnecchiare, l’altro invece è sempre più eccitato dal gioco e, quando è l’ora per noi di spostarci, ci fa promettere di passare a salutarlo dopo. Intanto gli lasciamo un ultimo palloncino gonfiato e il “compito” di costruire un’altra spada. Passiamo in dialisi, lì troviamo invece tanta gente, infatti ci dividiamo: Formaggino ed io nella prima stanza, Lucilla e Tamara nell’ultima. Il clima è pesante ma si riesce comunque a fare qualche chiacchiera. C’è la signora Bruna che parla volentieri, Margherita che ci dice invece chiaramente di non averne voglia e la lasciamo riposare, Rosa che tra un dolore e l’altro scambia qualche parola… c’è il Gino più anziano che ha gli occhi chiusi, li apre per sorriderci e poi li richiude lentamente, è stanco… una signora nuova, Rita, anziana, mi dice che forse ha fatto uno sbaglio a venire in ospedale e che vorrebbe alzarsi, tornare a casa. Tento di rassicurarla e sembra un po’ risollevarsi. Intanto Formaggino gira da una stanza all’altra con il suo rassicurante buonumore. Vengono Lucilla e Tamara dove sono io e dopo un po’ insieme ci rispostiamo nell’ultima. Camminando Lucilla mi fa notare quanto sono più socievoli e meno affranti gli anziani che hanno dei nipoti… nell’ultima stanza il clima sembra notevolmente più leggero, sarà che sono più giovani, o che c’è già Formaggino che li fa ridere… c’è Gino2 che ci accoglie festoso, oh delle fanciulle! Una signora dietro di lui sorride… c’è altra gente e un ragazzo, forse sulla trentina, lo avevo già visto la volta scorsa ma non ricordo il nome. Anche lui con un bel sorriso. Mi metto a chiacchierare con lui, è contento di parlare con qualcuno perché, dice, si è annoiato molto oggi. Mi racconta che fa il fisioterapista mi chiede se sono a medicina, e come mi chiamo. Allora ne approfitto per richiederglielo anch’io. Inaspettatamente mi rendo conto che fa fatica a pronunciare il suo nome, gli esce solo fiato, indugia sulla effe di Francesco come se balbettasse mentre fino a un attimo prima parlava fluentemente, alla fine con grande sforzo me lo dice: “Francesco”. mi sembra di essere uscita, come lui, da una fatica immensa. Qualcosa mi serra la gola, sorrido, ma mi viene da piangere. parliamo ancora, e continuo a sentirmi molto scossa. Poco dopo è ora di andare, tra le calorose proteste di tutti che vorrebbero rimanessimo… Ripassiamo in pediatria a raccogliere le nostre cose e a salutare il bambino delle spade che invece di costruirne una nuova le ha scoppiate tutte! Che sagoma… ce ne andiamo, sono dispiaciuta che sia già finita la mattinata e allo stesso tempo un po’ sollevata. Mi sento anch’io stanca… Prima di ripartire, quando sono sola nella mia macchina, mi tornano su tutti i particolari delle ore precedenti, gli sguardi, le risate dei bambini, le espressioni doloranti e quella fatica di Francesco nel pronunciare il suo nome. Non so cosa abbia smosso questo fatto in me sicuramente qualcosa di forte perché adesso, come nell’abitacolo dell’auto quella mattina, ogni volta che mi viene da pensarci piango. Ma sappiate che sono contenta! Il mio stato d’animo non è chiaramente passato inosservato all’attento claun Formaggino che inizia la mail del giorno dopo così “ciao, rapa. Assorbita la botta di ieri mattina?..” a cui rispondo “è stata una mattinata bellissima ma è tuttora in via di assorbimento…”
Raperonzolo
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Pensare a Rapa, in questo momento, mi dà la sensazione di un confortevole abbraccio. Chi vede il futuro con pessimismo, ha qualche ragione di farlo, ma soltanto se non ha mai incontrato i giovani di “m’illumino d’immenso”, perché basta qualche mozzicone di giornata trascorso con questa gente, per ringraziare la vita, per ballare una felice taranta, come degli idioti, nel mezzo di un parcheggio… Non so se tutto ciò che di inutile, nella mia vita, ho fatto fin qui, possa essere nobilitato da questa esperienza pazzesca. Magari sì. Anzi… certamente. Perché non mi era mai successo che un Giorgio – incazzato con la vita – mi avesse sorriso e stretto la mano, dopo tanti bendati silenzi. Non mi era mai successo di non crollare, sotto il peso dello sguardo disperato di una vecchia stanca. Non mi era mai successo di essere capace di offrirle semplicemente la mia faccia come misero quadretto buffo (dinanzi al quale lei – nobile – non ha mostrato un legittimo disgusto!). Questa cosa, ragazzi, è pura poesia. Mi comincia a stare stretto il fatto di chiamarlo “progetto”, una parola che, a poco a poco, sta entrando a far parte della semantica dell’attimino, del brand, del trend… Facciamo così: per adesso, giusto per farsi capire dalla civiltà contemporanea, continuiamo a chiamarlo “progetto”, ma io (almeno nella mia mente) lo chiamerò solo “’sta cosa pazzesca”.
Un grato abbraccio a tutti i clauni e a tutti gli amici che ci leggono.
Formag